giovedì 24 ottobre 2013

Cresce l'azione degli energy manager italiani

Segnali positivi ma, insieme, anche la traccia del perdurare della crisi per le imprese italiane. È quanto emerge dall'edizione 2013 dell'Osservatorio Energy Management, lanciato lo scorso anno da Strategic Management Partners in collaborazione con il Gruppo 24 Ore, con il supporto operativo di Cfi Group e la sponsorship di Telecom Italia. Perché sembra che l'attività di gestione dell'energia presso la nostra industria, il terziario e la pubblica amministrazione abbia fatto passi in avanti, non conducendo però a un proporzionale avanzamento degli interventi effettivamente messi in campo. Inoltre, restano ancora davvero poche (ferme all'8% dello scorso anno) le realtà che, pur avendo un responsabile dell'energia, adottano un sistema di gestione secondo lo standard Iso 50001, mentre il 39% conferma di non prevedere nessun certificato o attestazione.
Realizzata in aprile, l'indagine ha coinvolto un centinaio di energy manager nominati appartenenti ai tre settori, indagando sullo stato di fatto in tema di pianificazione energetica. Una seconda rilevazione, prevista in settembre, metterà a fuoco le abitudini sui processi di acquisto dell'energia e le Best available technologies.

Matura il ruolo del responsabile dell'energia
Tra i dati positivi della prima rilevazione di quest'anno c'è una certa maturazione del ruolo dell'energy manager: rispetto all'indagine del 2012, la quota di professionisti che svolge questa attività come missione principale è aumentata, precisamente dal 19 al 29% del totale, anche se è ancora rara una situazione ideale in cui si ritrovano associate competenze trasversali manageriali, tecniche, amministrative, progettuali, di comunicazione, e persiste una generale distinzione tra ambito tecnico e ambito degli acquisti. E se è vero che ora nel 20% dei casi l'energy manager decide da solo gli interventi prioritari da realizzare, resta però il fatto che oltre la metà dei responsabili dell'energia non è inquadrato come dirigente (il 49% è quadro, mentre il 15% tecnico/impiegato).
«In un mondo perfetto l'energy manager dovrebbe strutturare la pianificazione delle attività in un documento ufficiale, il piano energetico aziendale, che assegna obiettivi e misura i risultati - ha affermato Martina Molinari di Strategic Management Partners -. Questo non avviene sempre, ma in generale l'industria lo fa (81% dei casi), un po' meno il terziario (74%), e la buona notizia è che la Pa su questo fronte è migliorata». In effetti in quest'ultimo settore la quota di quanti dichiarano l'esistenza (attuale o prevista) di un piano è passata dal 60 al 70%. Altra buona nuova è che sono cresciute dal 72 all'84% le realtà che dichiarano di aver raggiunto negli ultimi tre anni gli obiettivi assegnati nel piano.

Si analizza e si pianifica di più
Delle varie attività che compongono il “cerchio magico” della gestione dell'energia, quelle relative all'analisi, cioè la raccolta e il monitoraggio dei consumi, sono svolte dalla quasi totalità delle referenze in tutti i tre comparti (il 100% nel terziario) anche se le modalità con cui queste informazioni sono raccolte mostrano ancora ampi margini di miglioramento, soprattutto nella Pa dove continuano a prevalere metodi manuali o la mera lettura delle bollette. Anche la successiva fase di diagnosi, ossia il check up energetico con l'individuazione delle aree di inefficienza, risulta effettuata da una massiccia fetta del campione (96% nel caso del terziario, 87% nell'industria, un po' meno nella Pa), ed è una logica conseguenza la pianificazione degli interventi da mettere in campo (qui l'industria è al 96%).
Passando però alla concreta realizzazione di questi ultimi, ecco che si riduce la percentuale di chi, dopo aver effettuato la diagnosi, la mette in pratica: si va dal 79% dell'industria al 69% della Pa. Già nel 2012 queste differenti dinamiche erano più che evidenti e il 2013 le ha confermate. Segno che sulla spesa ci sono ancora i cordoni tirati. Difatti, come criterio di scelta acquista peso proprio il costo dell'intervento (che diventa il primo criterio nella Pa), mentre lo scorso anno si guardava con maggiore attenzione all'impatto sui processi. «L'ottimizzazione si fa in genere cercando un prezzo più basso, soprattutto sull'acquisto di energia ma anche nella modifica dei capitolati di acquisto di impianti e macchinari, in particolar modo nell'industria» ha spiegato Molinari.

Le azioni concrete
Alla voce “interventi concreti” di efficienza, all'introduzione di nuove apparecchiature (inverter, motori ad alta efficienza, pompe di calore) si affiancano tutte quelle azioni di “buon senso”, a basso costo e non invasive, che riscuotono i favori generali: recupero calore, formazione dei dipendenti (banalmente, spegnere la luce o il computer quando non si usano), rifasamenti di macchinari. Quando la diminuzione dei consumi si affronta anche mediante auto-produzione, oltre al fotovoltaico (che domina ancora le preferenze, soprattutto nella Pa) cominciano a fare capolino anche la cogenerazione (scelta dal 41% dei rispondenti nell'industria) e, sebbene in misura molto minore, le biomasse e l'eolico. Ma ciò che più conta tra i risultati dell'indagine, è scoprire che con gli interventi pianificati e messi in atto gli intervistati dichiarano una riduzione media dei consumi negli ultimi tre anni ben del 26,5%. Lo scorso anno il dato sembrava già rilevante pur essendo decisamente inferiore (11,9%). Di più: nel 52% dei casi, il ritorno economico degli interventi è stato inferiore ai due anni.
Fonte: http://energia24club.it/articoli/0,1254,51_ART_154124,00.html

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